Rappresentatività sindacale: fattispecie ed effetti
(P. Campanella)

 

Abstract

 

La monografia, pubblicata nella Collana del Seminario Giuridico dell’Università degli Studi di Bologna, intende ricostruire la fattispecie della rappresentatività sindacale ed i suoi effetti con l’obiettivo di offrirne un quadro giuridico il più possibile coerente, nonché unitario per i settori privato e pubblico. Nei cinque capitoli che la compongono, l’A. ripercorre, in una sorta di ideale tripartizione della materia, prima, l’evoluzione della rappresentatività sindacale (capp. 1 e 2), poi, la disciplina (capp. 3 e 4), infine, le prospettive (cap. 5). Ne emergono problematiche assai delicate e complesse, peraltro lontane, ancora, da una soluzione certa, come ampiamente dimostra lo stesso empasse della più recente progettazione legislativa in itinere.

 

Nell’economia complessiva della trattazione, i primi due capitoli sono preordinati, come si diceva, a tracciare il percorso evolutivo della rappresentatività sindacale nel lavoro privato e in quello pubblico. A tal stregua, essi sono attenti a cogliere, da un lato, le osmosi, dall’altro, le divergenze prodottesi nei due settori.

E’ assegnato, in particolare, al primo capitolo il compito di ripercorrere la parabola della rappresentatività sindacale. L’A. lo fa, valorizzando il continuo "travaso" della nozione da una dimensione all’altra dei due universi del lavoro subordinato. Si parte dal versante della partecipazione ad organi e collegi amministrativi, in cui la nozione in parola ha fatto per la prima volta la sua comparsa; si procede con le vicende della maggiore rappresentatività confederale, ricostruendone l’ascesa e, successivamente, il declino; si conclude con un esame dello scenario post-referendum e dei suoi effetti, sul versante sia del lavoro pubblico, dove l’abrogazione dell’art. 47 ha indotto il legislatore ad una riforma organica e complessiva della materia, sia di quello privato, dove la consultazione popolare non ha certo sortito immediati e decisivi effetti in ordine all’adozione di nuove regole; regole, che, peraltro, l’ultima progettazione legislativa ancora in stallo vorrebbe comuni a pubblico e privato, all’insegna di una rappresentatività "onnivalente" rispetto a tutti gli istituti promozionali dell’attività sindacale.

 

Se il primo capitolo ha la funzione di tracciare l’evoluzione storico-normativa della rappresentatività sindacale, collocandola nella cornice osmotica "pubblico-privato", sì da precostituire al tempo stesso il contesto generale e di fondo entro cui la successiva riflessione sul tema verrà a dipanarsi, il secondo capitolo mira, invece, a sottolineare le divergenze tra i due settori, per quel che concerne, segnatamente, il precipuo ruolo giocato da questa nozione a partire dalle sue origini. Invero, nell’ambito del lavoro privato, essa è tradizionalmente assurta a strumento reattivo rispetto ai deficit della rappresentanza volontaria, a vero e proprio asse portante di un diritto sindacale "vivente" alternativo alla rappresentanza legale della Costituzione; e nel far questo, ha instaurato un nesso, sia pur di fatto, con l’erga omnes del contratto collettivo. Si spiega così la straordinaria ricchezza dei contributi dottrinali che ne ha accompagnato il cammino, con l’emersione di letture molteplici ed opposte: dalle ricostruzioni teorico-sistematiche della rappresentatività sindacale allo scopo di imputazione degli effetti del contratto alle tesi opposte, decisamente orientate a ridimensionarne la portata. L’A. le ripercorre criticamente, con l’intento di dar conto del peculiare contesto di fondo entro cui, nel settore privato, la stessa disciplina positiva della materia trova collocazione. Diversamente si conclude, invece, per il lavoro pubblico, dove la dimensione tradizionalmente pubblicistica del rapporto di impiego con la p.a. ha fatto fa sì che il settore restasse per molto tempo impermeabile o quasi ai principi privatistici della rappresentanza volontaria così come a quello d’effettività nel governo delle relazioni sindacali ed alla stessa incidenza dell’art. 39, c. 1, Cost.; ciò con la conseguenza che la maggiore rappresentatività ha perso, qui, ogni legame con l’erga omnes. Questo legame, secondo l’A. neppure è recuperato formalmente oggi, a privatizzazione avvenuta, giacché l’attuale previsione, da parte del D.Lgs. n. 29 del 1993, di una rappresentatività complessiva ai fini della valida stipulazione del contratto collettivo resta comunque effetto e non causa di un erga omnes, realizzato – osserva l’A. – indirettamente e per vie diverse dal legislatore.

 

I successivi due capitoli – il terzo ed il quarto – sono dedicati alla disciplina della rappresentatività sindacale, analizzata nei suoi aspetti rispettivamente strutturali e funzionali. Si è di fronte ad una normativa che – ritiene conclusivamente l’A. - non giunge mai ad introdurre un vero e proprio regime giuridico speciale del contratto collettivo alternativo a quello di diritto comune, ma che nel settore pubblico rivela una sistematicità assolutamente estranea a quello privato.

La cosa riesce chiara già a nel terzo capitolo, dove l’A., ricostruita la fattispecie della rappresentatività sindacale, distintamente, in relazione a ciascun sottosistema di relazioni sindacali, rispettivamente privato e pubblico, ne individua sì una triplice valenza in entrambi i settori (rappresentatività maggioritaria, effettiva e comparata nel privato) (rappresentatività minima, proporzionale e complessiva nel pubblico), ma poi osserva che solo nel settore pubblico essa appare davvero chiara nei contenuti. Nel privato, invece, le varie fattispecie si affastellano l’una sull’altra, ultima la rappresentatività sindacale comparata, di cui l’A. offre una propria lettura, certo scontando tutte le difficoltà di un dato legale estremamente ambiguo e contingente, rispetto al quale sorgono incertezze d’ogni sorta, relative in primis all’individuazione della fattispecie, poi, alle modalità, all’oggetto ed ai criteri della comparazione.

Procedendo sulla scorta della medesima premessa metodologica del capitolo precedente - cioè di un’analisi della disciplina della rappresentatività da condursi sulla base dei due distinti sottosistemi di relazioni sindacali, rispettivamente facenti capo a "pubblico" e "privato" - il quarto capitolo mira a verificare se quanto emerso in sede di definizione della fattispecie trovi altresì corrispondenza in sede di disamina degli effetti. Il che equivale, per l’A., a verificare, anzitutto, quale sia la diversa spendita delle fattispecie medesime sui distinti versanti della legittimazione negoziale, degli effetti del contratto e delle prerogative sindacali a livello decentrato; poi, se sussista una qualche coerenza e identità di ratio tra ciascuna fattispecie e gli effetti stessi che l’ordinamento di volta in volta vi riconduce. Il capitolo si conclude con la presa d’atto dell’esistenza di una netta divergenza tra la disciplina dei due settori: c’è, da un lato, il modello organico ed autoconcluso del "pubblico" e, dall’altro, quello disorganico e sfilacciato del "privato", dove l’assenza di un nesso coerente tra singole fattispecie della rappresentatività e relativi effetti si fa particolarmente evidente. Viene da interrogarsi, allora, circa l’opportunità di una trasposizione nel lavoro privato delle scelte qualificanti inaugurate nell’impiego pubblico: potrebbe, in altre parole, esser valutata come positiva l’ipotesi di una disciplina sulla rappresentanza e rappresentatività sindacale comune ai due settori, come preconizzato dallo stesso D.Lgs. n. 29 del 1993, all’art. 47, c. 1?

 

Il quinto ed ultimo capitolo tenta di rispondere a questa domanda; riemergono, così, tutti i nodi critici del nostro diritto sindacale – il modello di un’eventuale legislazione in materia, il tipo di rappresentanza da prescegliere, le regole del pluralismo e della democrazia sindacale, le questioni dell’efficacia soggettiva del contratto collettivo, nonché del dissenso collettivo ed individuale – nodi, questi, che l’ultima progettazione legislativa in itinere affronta, legando inscindibilmente principio di maggioranza ed erga omnes del contratto collettivo a tutti i livelli con un intervento ad ampio raggio sull’intero sistema delle relazioni sindacali. L’ipotesi, tuttavia, non convince fino in fondo l’A., la quale, procedendo sulla scorta di una distinzione netta tra i due piani della riqualificazione dei soggetti e della regolazione del contratto collettivo, manifesta piuttosto favore per un intervento legislativo "leggero", relativo al solo settore privato, di mera razionalizzazione e sostegno dei processi di autoregolazione sociale. Solo alla luce di tali premesse, può ipotizzarsi un recupero ed una contestuale valorizzazione dell’esperienza del lavoro pubblico, per aver questa offerto buona prova di sé quanto meno sul duplice terreno del rapporto tra fonti regolative e del modello di rappresentanza e rappresentatività prescelto. Quanto alla regolazione del contratto collettivo, ragioni di opportunità, prima che di costituzionalità sembrerebbero suggerire un intervento legislativo finalizzato al solo erga omnes del contratto aziendale, non, invece, di quello nazionale, rispetto a cui neppure una lettura evolutiva dell’art. 39, c. 2 ss., Cost. riuscirebbe forse a dissolverne il problema maggiore, quale dato dalla necessaria preindividuazione dell’unità contrattuale di riferimento, indispensabile al funzionamento del sistema, ma purtuttavia in grado di minare alle fondamenta il principio di libertà sindacale.

La monografia è completata da un indice analitico e un indice degli autori.