ABSTRACT
La monografia, pubblicata nella collana di diritto del lavoro diretta
da M. RUSCIANO e T. TREU, propone una riflessione sulle principali tecniche
regolative utilizzate dalla legge n. 146 del 1990, dopo quasi un decennio
di applicazione. Sebbene sia stato pubblicato prima della emanazione della
riforma (legge n. 83 del 2000), il libro si misura tuttavia con i principali
punti critici della legge del 1990, evidenziando, accanto agli aspetti
bisognosi di modifica ed integrazione legislativa, la necessità di una
rivisitazione interpretativa della disciplina, che è stata peraltro recepita
in parte nella riforma.
Nel primo capitolo ("Sciopero nei servizi pubblici e diritto del lavoro"),
l'A. osserva come la legge abbia offerto buona prova di sé in gran parte
dei settori in cui è stata applicata, sebbene non sia riuscita, se non
in minima parte, a governare l'endemica conflittualità presente in alcune
particolari aree strategiche, come quelle del trasporto aereo e ferroviario.
Le ragioni di questa difficoltà vanno peraltro ricercate non tanto negli
strumenti regolativi previsti dalla legge, quanto nella preoccupante instabilità
che, in quei settori, caratterizza un sistema di relazioni sindacali da
tempo in attesa di nuove regole (in particolare sulla rappresentanza sindacale).
D'altro canto, la legge si è rivelata inadeguata rispetto ai nuovi fenomeni
di conflittualità economico-politica che, negli ultimi anni, hanno visto
come protagonisti liberi professionisti e lavoratori autonomi.
Prendendo spunto da queste vicende, l'A. conduce una rivisitazione
delle principali tecniche utilizzate dalla legge, segnalando come essa
abbia rappresentato il frutto di una visione del conflitto collettivo inteso
come fenomeno prevalentemente legato alle dinamiche dei rapporti di lavoro
subordinato. In tal senso si è giustificato il ricorso a tecniche di regolazione
proprie del diritto del lavoro, come il contratto collettivo ed individuale
che, tuttavia, sono state conformate alle particolari esigenze di effettività
di una disciplina volta a tutelare interessi di rango costituzionale. Valorizzando
la capacità di adattamento del diritto del lavoro a governare conflitti
che sempre più travalicano gli interessi delle parti in causa, il legislatore
ha così utilizzato strumentalmente alcuni suoi istituti tradizionali, conferendo
ad essi - talora indirettamente (contratti collettivi), talatra direttamente
(contratto individuale) - quell'effettività che normalmente non possiedono,
o per i loro endemici limiti di efficacia soggettiva (contratti collettivi)
o per l'esercizio discrezionale dei poteri che vi sono connessi (contratto
individuale).
La necessità della legge per attribuire piena effettività a tecniche
regolative dell'esercizio dello sciopero fondate sui contratti di lavoro
è del resto confermata nella stessa ricostruzione che l'A. opera nel secondo
capitolo ("Sciopero nei servizi essenziali e vecchi modelli regolativi")
in relazione alle vicende che hanno preceduto la legge del 1990. Pur se
sotto diversi profili, sia la disciplina scaturita dalla giurisprudenza
costituzionale sia l'autoregolamentazione sindacale, nella sua evoluzione,
hanno evidenziato come, in mancanza di un intervento legislativo, fossero
velleitari i tentativi di ricondurre la disciplina del conflitto nell'ambito
del diritto del lavoro: per motivi diversi, né il contratto collettivo
di diritto comune, né quello individuale potevano rivelarsi di per sé idonei
a disciplinare efficacemente l'esercizio del diritto costituzionale di
sciopero.
Secondo l'A., l'ottica strumentale con cui la legge inquadra gli strumenti
collettivi ed individuali del diritto del lavoro produce un duplice effetto.
Da un lato, come si sostiene nel quarto capitolo ("Il "contratto collettivo
e gli altri strumenti di individuazione delle prestazioni indispensabili""),
viene sciolto il nodo della natura e dell'efficacia dell'accordo che individua
le prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero. La funzione
normativa (e non semplicemente specificativa, come sostenuto dalla maggior
parte degli interpreti) nonché l'efficacia generalizzata dell'accordo possono
infatti cogliersi nel momento in cui lo si inquadri non già come un contratto
collettivo, bensì come una fonte tipica che scaturisce da un procedimento
fondato sulla combinazione di un momento negoziale e di un momento di valutazione
amministrativa della Commissione di garanzia: una fonte speciale a cui
la legge attribuisce il compito di integrare, con funzione normativa, l'esatto
contenuto dell'obbligo da essa stessa previsto. Il contratto collettivo
è quindi assunto strumentalmente non tanto come atto di autonomia negoziale,
quanto come risorsa metodologica che concorre alla creazione dell'atto
tipico voluto dalla legge: l'accordo valutato idoneo non condivide né la
natura né l'efficacia del contratto collettivo e la sua sindacabilità nel
merito da parte del giudice solleva più di una perplessità. Identiche considerazioni
valgono per il regolamento di servizio concordato in sede aziendale che,
lungi dall'assolvere una funzione di estensione dell'efficacia soggettiva
del contratto collettivo, svolge invece - sempre nell'ottica della legge
- un ruolo di specializzazione delle regole adottate in sede nazionale.
Per altro verso, la configurazione di atto tipico vale anche nei confronti
dei codici unilaterali di autoregolamentazione da sottoporre alla valutazione
di idoneità della Commissione, i quali appaiono - come è stato poi confermato
dalla riforma del 2000 - le uniche fonti in grado di individuare le prestazioni
indispensabili che debbono essere rese dai lavoratori autonomi e dai liberi
professionisti.
Dall'altro lato, come emerge dai capitoli terzo ("Sciopero, interesse
degli utenti, interesse dell'impresa. Il contratto individuale di lavoro
come nuovo strumento regolativo nella legge del 1990") e sesto ("Le violazioni
della legge e gli strumenti sanzionatori"), è possibile inquadrare correttamente
il ruolo assegnato dalla legge al datore di lavoro in merito alla disciplina
del conflitto: un soggetto che è contemporaneamente parte di due distinti
rapporti (uno interno con i dipendenti, ed uno esterno con gli utenti del
servizio). La conformazione, nel senso dell'obbligatorietà, dei poteri
datoriali (direttivo e disciplinare) derivanti dal contratto individuale
di lavoro rende non solo pienamente effettiva l'erogazione delle prestazioni
indispensabili. Essa vale, infatti, anche a scongiurare possibili strumentalizzazioni
della disciplina da parte del soggetto che è pur sempre il destinatario
finale dello sciopero e la cui responsabilità nei confronti degli utenti
va distinta dalla sua posizione di datore di lavoro. Mediante l'integrazione
legale dei suoi effetti e la particolare conformazione che ne deriva, il
contratto individuale di lavoro degli addetti ai servizi essenziali diviene
così lo strumento attraverso il quale l'obbligo di garantire le prestazioni
indispensabili acquista effettività sia sul piano della loro esigibilità
sia su quello sanzionatorio, senza ricorrere a logiche funzionalistiche:
del resto, la riforma del 2000 ha confermato questa impostazione, enfatizzando
quella doverosità dell'esercizio del potere disciplinare nei confronti
delle violazioni compiute dai singoli lavoratori che nel libro è ipotizzata
(capitolo sesto). La valorizzazione della posizione contrattuale del datore
di lavoro nei confronti dei suoi dipendenti consente, per altro verso,
di distinguere il suo ruolo relativamente alle sanzioni collettive a carico
delle organizzazioni sindacali, alle quali il datore non è legato da alcun
vincolo negoziale: qui il suo compito di sospendere su indicazione della
Commissione l'erogazione dei benefici patrimoniali statutari (destinandoli
all'Inps) non rappresenta l'esercizio di un potere (che egli non ha ex
contractu e che la legge non gli ha riconosciuto), bensì il semplice adempimento
di un obbligo che normalmente gli incombe e che la legge, nella prospettiva
sanzionatoria, ha assunto anche in tal caso strumentalmente modificando
il destinatario dell'erogazione. In questa ipotesi, il potere sanzionatorio
è interamente riconducibile in capo alla Commissione, come ha del resto
confermato esplicitamente la stessa riforma del 2000.
Come si evidenzia nel quinto capitolo ("Gli strumenti di individuazione
delle prestazioni indispensabili nel caso di mancato accordo"), la "valorizzazione"
strumentale delle risorse regolative del diritto del lavoro, consente peraltro
di confinare gli strumenti prettamente autoritativi, come la precettazione,
ad un ruolo di extrema ratio, giacché il ruolo dell'ente erogatore risalta,
nel quadro delineato dalla legge, anche rispetto alle ipotesi critiche,
come la mancanza di accordo. L'introduzione nella novella del 2000 della
provvisoria e vincolante regolamentazione della Commissione nel caso di
impasse negoziale rafforza quell'impostazione (accolta anche nel libro)
secondo cui l'ente erogatore era comunque tenuto, in tal caso, a richiedere
le prestazioni indicate nella proposta formulata dalla Commissione.
Secondo l'A., questa rilettura della legge consente, per altro verso,
di apprezzare più a fondo il ruolo della Commissione garante dell'"attuazione"
della legge: attuazione che deve innanzitutto intendersi come effettività
dei suoi strumenti regolativi. Così reinterpretata, la legge n. 146 poteva
essere già in grado di governare adeguatamente il conflitto nell'area del
lavoro subordinato anche senza sensibili interventi di riforma (purché
si intervenisse in materia di rappresentanza sindacale). Viceversa, per
i conflitti dei lavoratori autonomi, l'integrazione appariva improcrastinabile
(come emerge nel capitolo quarto in relazione allo "sciopero" degli avvocati):
il che è puntualmente emerso nella riforma del 2000.