PAOLO PASCUCCI
Tecniche regolative dello sciopero nei servizi essenziali,
Torino, Giappichelli, 1999, pp. 296, L. 45.000
 

ABSTRACT

La monografia, pubblicata nella collana di diritto del lavoro diretta da M. RUSCIANO e T. TREU, propone una riflessione sulle principali tecniche regolative utilizzate dalla legge n. 146 del 1990, dopo quasi un decennio di applicazione. Sebbene sia stato pubblicato prima della emanazione della riforma (legge n. 83 del 2000), il libro si misura tuttavia con i principali punti critici della legge del 1990, evidenziando, accanto agli aspetti bisognosi di modifica ed integrazione legislativa, la necessità di una rivisitazione interpretativa della disciplina, che è stata peraltro recepita in parte nella riforma.
Nel primo capitolo ("Sciopero nei servizi pubblici e diritto del lavoro"), l'A. osserva come la legge abbia offerto buona prova di sé in gran parte dei settori in cui è stata applicata, sebbene non sia riuscita, se non in minima parte, a governare l'endemica conflittualità presente in alcune particolari aree strategiche, come quelle del trasporto aereo e ferroviario. Le ragioni di questa difficoltà vanno peraltro ricercate non tanto negli strumenti regolativi previsti dalla legge, quanto nella preoccupante instabilità che, in quei settori, caratterizza un sistema di relazioni sindacali da tempo in attesa di nuove regole (in particolare sulla rappresentanza sindacale). D'altro canto, la legge si è rivelata inadeguata rispetto ai nuovi fenomeni di conflittualità economico-politica che, negli ultimi anni, hanno visto come protagonisti liberi professionisti e lavoratori autonomi.
Prendendo spunto da queste vicende, l'A. conduce una rivisitazione delle principali tecniche utilizzate dalla legge, segnalando come essa abbia rappresentato il frutto di una visione del conflitto collettivo inteso come fenomeno prevalentemente legato alle dinamiche dei rapporti di lavoro subordinato. In tal senso si è giustificato il ricorso a tecniche di regolazione proprie del diritto del lavoro, come il contratto collettivo ed individuale che, tuttavia, sono state conformate alle particolari esigenze di effettività di una disciplina volta a tutelare interessi di rango costituzionale. Valorizzando la capacità di adattamento del diritto del lavoro a governare conflitti che sempre più travalicano gli interessi delle parti in causa, il legislatore ha così utilizzato strumentalmente alcuni suoi istituti tradizionali, conferendo ad essi - talora indirettamente (contratti collettivi), talatra direttamente (contratto individuale) - quell'effettività che normalmente non possiedono, o per i loro endemici limiti di efficacia soggettiva (contratti collettivi) o per l'esercizio discrezionale dei poteri che vi sono connessi (contratto individuale).
La necessità della legge per attribuire piena effettività a tecniche regolative dell'esercizio dello sciopero fondate sui contratti di lavoro è del resto confermata nella stessa ricostruzione che l'A. opera nel secondo capitolo ("Sciopero nei servizi essenziali e vecchi modelli regolativi") in relazione alle vicende che hanno preceduto la legge del 1990. Pur se sotto diversi profili, sia la disciplina scaturita dalla giurisprudenza costituzionale sia l'autoregolamentazione sindacale, nella sua evoluzione, hanno evidenziato come, in mancanza di un intervento legislativo, fossero velleitari i tentativi di ricondurre la disciplina del conflitto nell'ambito del diritto del lavoro: per motivi diversi, né il contratto collettivo di diritto comune, né quello individuale potevano rivelarsi di per sé idonei a disciplinare efficacemente l'esercizio del diritto costituzionale di sciopero.
Secondo l'A., l'ottica strumentale con cui la legge inquadra gli strumenti collettivi ed individuali del diritto del lavoro produce un duplice effetto. Da un lato, come si sostiene nel quarto capitolo ("Il "contratto collettivo e gli altri strumenti di individuazione delle prestazioni indispensabili""), viene sciolto il nodo della natura e dell'efficacia dell'accordo che individua le prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero. La funzione normativa (e non semplicemente specificativa, come sostenuto dalla maggior parte degli interpreti) nonché l'efficacia generalizzata dell'accordo possono infatti cogliersi nel momento in cui lo si inquadri non già come un contratto collettivo, bensì come una fonte tipica che scaturisce da un procedimento fondato sulla combinazione di un momento negoziale e di un momento di valutazione amministrativa della Commissione di garanzia: una fonte speciale a cui la legge attribuisce il compito di integrare, con funzione normativa, l'esatto contenuto dell'obbligo da essa stessa previsto. Il contratto collettivo è quindi assunto strumentalmente non tanto come atto di autonomia negoziale, quanto come risorsa metodologica che concorre alla creazione dell'atto tipico voluto dalla legge: l'accordo valutato idoneo non condivide né la natura né l'efficacia del contratto collettivo e la sua sindacabilità nel merito da parte del giudice solleva più di una perplessità. Identiche considerazioni valgono per il regolamento di servizio concordato in sede aziendale che, lungi dall'assolvere una funzione di estensione dell'efficacia soggettiva del contratto collettivo, svolge invece - sempre nell'ottica della legge - un ruolo di specializzazione delle regole adottate in sede nazionale. Per altro verso, la configurazione di atto tipico vale anche nei confronti dei codici unilaterali di autoregolamentazione da sottoporre alla valutazione di idoneità della Commissione, i quali appaiono - come è stato poi confermato dalla riforma del 2000 - le uniche fonti in grado di individuare le prestazioni indispensabili che debbono essere rese dai lavoratori autonomi e dai liberi professionisti.
Dall'altro lato, come emerge dai capitoli terzo ("Sciopero, interesse degli utenti, interesse dell'impresa. Il contratto individuale di lavoro come nuovo strumento regolativo nella legge del 1990") e sesto ("Le violazioni della legge e gli strumenti sanzionatori"), è possibile inquadrare correttamente il ruolo assegnato dalla legge al datore di lavoro in merito alla disciplina del conflitto: un soggetto che è contemporaneamente parte di due distinti rapporti (uno interno con i dipendenti, ed uno esterno con gli utenti del servizio). La conformazione, nel senso dell'obbligatorietà, dei poteri datoriali (direttivo e disciplinare) derivanti dal contratto individuale di lavoro rende non solo pienamente effettiva l'erogazione delle prestazioni indispensabili. Essa vale, infatti, anche a scongiurare possibili strumentalizzazioni della disciplina da parte del soggetto che è pur sempre il destinatario finale dello sciopero e la cui responsabilità nei confronti degli utenti va distinta dalla sua posizione di datore di lavoro. Mediante l'integrazione legale dei suoi effetti e la particolare conformazione che ne deriva, il contratto individuale di lavoro degli addetti ai servizi essenziali diviene così lo strumento attraverso il quale l'obbligo di garantire le prestazioni indispensabili acquista effettività sia sul piano della loro esigibilità sia su quello sanzionatorio, senza ricorrere a logiche funzionalistiche: del resto, la riforma del 2000 ha confermato questa impostazione, enfatizzando quella doverosità dell'esercizio del potere disciplinare nei confronti delle violazioni compiute dai singoli lavoratori che nel libro è ipotizzata (capitolo sesto). La valorizzazione della posizione contrattuale del datore di lavoro nei confronti dei suoi dipendenti consente, per altro verso, di distinguere il suo ruolo relativamente alle sanzioni collettive a carico delle organizzazioni sindacali, alle quali il datore non è legato da alcun vincolo negoziale: qui il suo compito di sospendere su indicazione della Commissione l'erogazione dei benefici patrimoniali statutari (destinandoli all'Inps) non rappresenta l'esercizio di un potere (che egli non ha ex contractu e che la legge non gli ha riconosciuto), bensì il semplice adempimento di un obbligo che normalmente gli incombe e che la legge, nella prospettiva sanzionatoria, ha assunto anche in tal caso strumentalmente modificando il destinatario dell'erogazione. In questa ipotesi, il potere sanzionatorio è interamente riconducibile in capo alla Commissione, come ha del resto confermato esplicitamente la stessa riforma del 2000.
Come si evidenzia nel quinto capitolo ("Gli strumenti di individuazione delle prestazioni indispensabili nel caso di mancato accordo"), la "valorizzazione" strumentale delle risorse regolative del diritto del lavoro, consente peraltro di confinare gli strumenti prettamente autoritativi, come la precettazione, ad un ruolo di extrema ratio, giacché il ruolo dell'ente erogatore risalta, nel quadro delineato dalla legge, anche rispetto alle ipotesi critiche, come la mancanza di accordo. L'introduzione nella novella del 2000 della provvisoria e vincolante regolamentazione della Commissione nel caso di impasse negoziale rafforza quell'impostazione (accolta anche nel libro) secondo cui l'ente erogatore era comunque tenuto, in tal caso, a richiedere le prestazioni indicate nella proposta formulata dalla Commissione.
Secondo l'A., questa rilettura della legge consente, per altro verso, di apprezzare più a fondo il ruolo della Commissione garante dell'"attuazione" della legge: attuazione che deve innanzitutto intendersi come effettività dei suoi strumenti regolativi. Così reinterpretata, la legge n. 146 poteva essere già in grado di governare adeguatamente il conflitto nell'area del lavoro subordinato anche senza sensibili interventi di riforma (purché si intervenisse in materia di rappresentanza sindacale). Viceversa, per i conflitti dei lavoratori autonomi, l'integrazione appariva improcrastinabile (come emerge nel capitolo quarto in relazione allo "sciopero" degli avvocati): il che è puntualmente emerso nella riforma del 2000.