ABSTRACT

La monografia, pubblicata nel Commentario al codice civile diretto da P. Schlesinger, si apre con una breve introduzione dedicata alle origini del divieto di interposizione nei rapporti di lavoro ed alla disciplina del rapporto di lavoro negli appalti, dal periodo corporativo alle norme del codice civile fino alla promulgazione della l. 1369/1960. Un’analisi particolare è qui dedicata ai fini perseguiti dal legislatore storico con la l. 1369/1960 - ricostruiti soprattutto grazie all’ausilio delle relazioni di accompagnamento alla legge - analisi, che permetterà all’A., a conclusione dell’opera, di verificare quanta parte di quegli obbiettivi dichiarati si siano tradotti in scopi obbiettivi della legge (ratio).

Segue un capitolo interamente dedicato al divieto di interposizione posto dall’art.1, l. 1360/1960, nei suoi vari aspetti corrispondenti ad altrettanti sezioni (sez. I. attuale vigenza del divieto, sez. II. struttura della fattispecie interpositoria, sez. III. campo di applicazione e rapporti eccettuati, sez. III e IV. struttura ed effetti della sanzione civile, sez. VI. sanzione penale). La parte più cospicua è dedicata alla struttura della fattispecie interpositoria, scomposta nei suoi tre elementi costitutivi, individuati nel contratto di fornitura di lavoro altrui, nel contratto di lavoro subordinato e nella "effettiva utilizzazione", intesa come adempimento dei due negozi fra loro collegati. L’A. discute in questa sede la distinzione fra fornitura di lavoro altrui ed appalto, non solo nelle ricostruzioni della dottrina, ma anche negli orientamenti della giurisprudenza; la conclusione è nel senso della correttezza del percorso concettuale seguito dalla giurisprudenza per distinguere fra interposizione vietata ed appalti leciti, anche nell’ipotesi in cui vengano in considerazione appalti "a bassa intensità organizzativa" e ad "alta intensità di lavoro", quali gli appalti di servizi di pulizia, di facchinaggio o di servizi informatici. Nella sez. II dello stesso capitolo si tratta del campo di applicazione del divieto: l’A. in questa sede giunge alla conclusione della portata di principio generale del divieto di interposizione.

Un successivo capitolo è dedicato al comando o distacco. L’esame dei percorsi seguiti dalla dottrina e delle soluzioni proposte dalla giurisprudenza conduce l’A. a sostenere un insanabile contrasto fra comando e divieto di interposizione, o perché il comando realizza proprio i tre elementi strutturali del divieto posto dall’art. 1 l. 1369 (contratto di fornitura di lavoro altrui, contratto di lavoro subordinato e effettiva utilizzazione) o perché, comunque, contrasta con la ratio sottesa a quel divieto di carattere generale.

Il capitolo successivo è dedicato all’esame del "lavoro temporaneo tramite agenzia", introdotto nel nostro ordinamento dalla l. 196/1997. Anche questo capitolo è diviso in sezioni (sez. I. le origini; sez. II. il contratto di fornitura, sez. III. il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, sez. IV il rapporto fra utilizzatore e lavoratore, sez. V sanzioni e collegamento contrattuale). La fattispecie del lavoro temporaneo - la cui struttura è speculare a quella vietata (contratto di fornitura di lavoro altrui, contratto di lavoro subordinato, adempimento dei due negozi) - è ricostruita come deroga al generale divieto di interposizione, con la conseguenza che ogni deviazione dal modello consentito determina automaticamente l’operare delle sanzioni individuate dalla l. 196, per lo più con rinvio alla precedente l. 1369. La trattazione dedicata al contratto per prestazioni di lavoro temporaneo ruota intorno al quesito centrale della riconducibilità di tale contratto a quello di cui all’art. 2094 c.c.; la conclusione affermativa conduce l’A. a ritenere applicabili al contratto per prestazioni di lavoro temporaneo tutte le discipline - non fatte oggetto di specifica deroga - dettate per il lavoro subordinato nell’impresa. Nell’ultima sezione dello stesso capitolo l’A. analizza, fra l’altro, la portata del collegamento negoziale fra contratto lecito di fornitura e contratto di lavoro subordinato, per concludere - anche attraverso una peculiare lettura del dettato dell’art. 3, comma 4, l. 196 - nel senso della sua assoluta irrilevanza a fini ricostruttivi.

Un ulteriore capitolo è dedicato alla disciplina del lavoro negli appalti. Premesso che il contratto d’appalto è ben distinto se non antitetico rispetto al contratto di fornitura di lavoro altrui, l’A. si occupa comunque della disciplina del lavoro negli appalti per esigenze di completezza, dal momento che la l. 1369/1960 detta appunto una specifica disciplina per gli appalti "endoaziendali". Il discorso, comunque, non è in questa sede limitato alle regole poste dalla l. 1369/1960, ma si allarga alle tutele che più in generale assistono i lavoratori impiegati in appalti pubblici e privati, con particolare attenzione alla qualificazione delle posizioni soggettive individuate dalla legge in capo alle parti del rapporto di lavoro o a soggetti terzi (il committente). Una prima sezione è dedicata alla disciplina degli appalti in genere o "senza aggettivi", un’altra agli appalti "endoaziendali", una terza alla sicurezza del lavoro negli appalti, una quarta agli appalti pubblici.

In sede di conclusioni l’A. si interroga sulla attualità del divieto di interposizione e della disciplina posta dalla l. 1369/1960 in tema di appalti "endoaziendali". Pone così a confronto gli scopi perseguiti dal legislatore storico - ed individuati in sede di introduzione - e quelli obbiettivati nella ratio del provvedimento legislativo.

Quanto al divieto di interposizione - ricostruito come illecito, quindi come comando la cui colpevole trasgressione, in carenza di cause di giustificazione, dà luogo alla applicazione di sanzioni (civili e penali) - l’A. ne sostiene la persistente attualità; non nega, peraltro, che possano a volte verificarsi casi in cui la rigidezza del divieto e la pesantezza delle sanzioni ad esso collegate non rispondano agli interessi concreti dei lavoratori coinvolti (in ipotesi altamente specializzati ed alle dipendenze di un datore di lavoro-interposto solvibile e che offre loro un congruo trattamento economico-normativo); ritiene che in queste (rare) ipotesi possa darsi rilievo al principio di offensività - principio di carattere generale, con fondamento costituzionale, predicabile all’illecito in quanto tale (civile o penale) - per evitare l’applicazione delle sanzioni previste dagli artt. 1 e 2 l. 1369.

Quanto, invece, alla fattispecie e alla disciplina in tema di appalti "endoaziendali" l’A., riscontratane l’inapplicabilità, ne nega recisamente anche una qualche attualità.