Può sorprendere che nel Commentario del codice civile diretto da P. Schlesinger all?art. 2128, in materia di lavoro a domicilio, sia dedicato il triplo delle pagine che nello stesso Commentario sono dedicate all?art. 2094, cioè alla definizione del tipo legale maggiore, del "lavoro subordinato nell?impresa". Il fatto è che, per un verso, ormai del vecchio lavoro a domicilio gli operatori pratici e i giuslavoristi si interessano sempre di meno; per altro verso, sono in corso mutamenti profondi delle forme tipiche di organizzazione del lavoro, che, privando di rilievo l?elemento essenziale della vecchia figura del lavoro subordinato nell?impresa costituito dal coordinamento spazio-temporale, finiscono col porre al centro del sistema proprio quel "lavoro decentrato" che un tempo era collocato ai suoi margini: così, il lavoro non più soggetto a coordinamento spazio-temporale diventa lo spunto per riflessioni di portata assai più ampia sui criteri di qualificazione della prestazione lavorativa e sull?oggetto stesso dell?intero diritto del lavoro.

Nel primo capitolo l?A. - non insensibile alle suggestioni dell?approccio giuseconomico alla nostra materia - ripercorre la "parabola regolativa del lavoro a domicilio", dal codice civile alla legge n. 264/1958, alla legge n. 877/1973 per individuare gli interessi sottesi all?intervento normativo. Lo scopo di questa legge all?origine (ma non più condiviso oggi dalle parti sociali: v. pp. 453 - 455) viene indicato da N. in un forte aggravio dei costi di transazione posti a carico del committente, finalizzato a proteggere il lavoratore dipendente "interno", prevalentemente maschio, dalla concorrenza del lavoro domiciliare, prevalentemente femminile: disegno, questo, che sarebbe tuttavia in gran parte fallito, anche in conseguenza della progressiva individualizzazione del mercato del lavoro e della fuga dei lavoratori a domicilio dal modello di rapporto disegnato dalla legge, verso la figura del piccolo imprenditore artigiano, più adatta alla "competizione posizionale" (p. 43) con il lavoro interno (e a questa nuova "folla solitaria" di manifattori autonomi si rivolge il più recente intervento legislativo, costituito dalla legge n. 192/1998 sulla "subfornitura"). Diverso, infine, è il fenomeno, in fase di grande sviluppo, del lavoro a distanza costituito dal trattamento di informazioni, del quale N. sottolinea la natura diversa rispetto al lavoro a domicilio manifatturiero, coniando per il telelavoro l?ardito neologismo del "lavoro mentefatturiero".

Nel secondo capitolo l?A. propone una distinzione fra la fattispecie definita dall?art. 2128 c.c. (ma può davvero considerarsi ancora in vigore questa norma?) e quella definita dalla legge del 1973, sottolineandone la comune contrapposizione sia rispetto alla figura dell?appalto, sia rispetto a quella della vendita di cosa futura; ma sottolineando anche, per converso, la sovrapposizione della figura del lavoratore a domicilio rispetto a quella del piccolo imprenditore artigiano: donde il netto dissenso nei confronti della disciplina previdenziale basata sul contrario presupposto della netta alternativa fra le due figure sul piano civilistico.

Le rispettive discipline delle due fattispecie di lavoro a domicilio sono esaminate nel terzo capitolo, intitolato al "controllo pubblico del mercato dei lavori a domicilio", e nel quarto, dedicato alla regolamentazione dello svolgimento del rapporto, dove alla disciplina codicistica è riservata addirittura una apposita sezione, la seconda, mentre una terza è dedicata alla difficile tutela della "stabilità" del posto di lavoro a domicilio (qui l?A. manifesta piena adesione all?orientamento giurisprudenziale prevalente, nel senso dell?applicabilità della disciplina limitativa dei licenziamenti ai rapporti domiciliari di fatto caratterizzati da sufficiente "continuità").

Nel quinto capitolo N. affronta finalmente la questione delle tecniche di qualificazione, ribadendo il proprio rifiuto del metodo "tipologico classico" e riproponendo la propria opzione per il metodo "tipologico funzionale", che tuttavia, in questa sua ultima esposizione, appare a chi scrive sempre più vicino a un metodo sussuntivo applicato cum grano salis: tanto è vero che N. professa qui una piena convergenza con la tesi esposta da L. Mengoni (RIDL, 1986, I, 5 - 19).

Segue l?esame della rilevanza della volontà delle parti in sede di qualificazione: qui l?A., citando Wittgenstein, sostiene che l?espressione "volontà" non indica alcunché di concreto (ma - se ci è consentita una chiosa - il trasferimento di questo ragionamento dal piano filosofico a quello giuridico porterebbe a considerare privo di senso l?art. 1362 c.c., che richiede l?accertamento della "comune intenzione delle parti"; inoltre impedirebbe radicalmente di considerare la "capacità di intendere e volere" del soggetto stipulante come presupposto della validità dell?atto stipulato, nonché di distinguere la responsabilità colposa da quella dolosa). Tutto questo discorso perde tuttavia gran parte della sua rilevanza pratica, poiché N. ritiene che la giusta interpretazione della legge porti a escludere ogni rilevanza della struttura "subordinata" o "autonoma" della prestazione lavorativa: dove di lavoro personale effettivamente si tratta, là deve applicarsi la disciplina del lavoro a domicilio; l?intero problema si riduce pertanto alla distinzione tra "lavoro a domicilio" in senso proprio e "collaborazione fra imprese", dovendo secondo N. ritenersi operante, nel dubbio, una presunzione legale relativa a favore del lavoro a domicilio.

Si giunge così all?ultimo capitolo, assai corposo (cento pagine), dedicato al telelavoro: a una ricognizione delle sue forme di manifestazione fa seguito l?esame del problema della qualificazione, che viene risolto nel senso della sussumibilità nella nozione definita dall?art. 2128 c.c. del telelavoro caratterizzato dalla libertà del lavoratore circa il luogo della prestazione; per la distinzione fra telelavoro etero-organizzato e autonomo assumono rilievo, oltre all?eventuale collegamento interattivo con l?azienda, anche altri indici, quali l?obbligo di rientri periodici nell?azienda stessa, l?obbligo di reperibilità, l?obbligo di partecipare a riunioni; segue un esame analitico dei principali problemi di disciplina specifica del rapporto di telelavoro, in parte diversi nel settore privato rispetto a quello pubblico. Il capitolo si conclude con un paragrafo dedicato alle questioni de iure condendo, dove sono esaminate criticamente le proposte di legge sul tappeto.

Il libro è completato da un indice degli autori, un indice delle fonti legislative e un indice analitico.

PIETRO ICHINO