Il lavoro minorile nell era della globalizzazione: riflessioni a margine di una recente convenzione dell Organizzazione Internazionale del Lavoro




[1] I dati dell'Organizzazione internazionale del lavoro citati sono riportati nel sito Internet http://www.ilo.org (consultato da chi scrive in data 6.07.99).

[2] Per ulteriori dati, oltre ai rapporti annuali dell'UNICEF (che da tempo conduce una decisa battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile sulla base di un approccio decisamente pragmatico, che evidenzia come concause di tale fenomeno siano anche l'iniqua redistribuzione della ricchezza, associata a modelli di sviluppo spesso obsoleti), si veda LANSKY, Le travail des enfants: un défi a relever, RIT, 1997, pp. 253 ss., in particolare a pp. 262 ss.

[3] V. BEQUELE e BOYDEN, Combating Child Labour, Geneve, 1988; TAGLIAVENTI, Per un alfabeto comune: bambini e preadolescenti che lavorano, in AA.VV., Pianeta infanzia. Questioni e documenti 7 (Quaderno del Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi per l'Infanzia e l'Adolescenza), Firenze, 1999, pp. 11 ss., a p. 12.

[4] Sulla normativa italiana in materia di lavoro dei minori v. TOPO, La tutela del lavoro minorile, in Diritto del lavoro. Commentario diretto da F. CARINCI, Torino, 1998, II, pp. 629 ss.; CESTER, Il lavoro, in CENDON (a cura di), I bambini e i loro diritti, Bologna, 1991, pp. 247 ss.; DE CRISTOFARO M.L., Lavoro minorile, EncGTrecc, Roma, 1990, XVIII; OFFEDDU, Lavoro dei minori, NDI, App. IV, Torino, 1986, pp. 653 ss.

[5] La Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia, approvata all'unanimità dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989, è lo strumento internazionalistico in materia di tutela dei minori che può vantare, ad oggi, il maggior numero di ratifiche. In essa il mondo dell'infanzia è preso in considerazione in tutti i suoi aspetti ma in una prospettiva fortemente unitaria, dal momento che tutte le disposizioni che riconoscono e riaffermano diritti fondamentali quali quello allo studio, alla salute, al riposo ed allo svago, ad un ambiente sano (ed anche la tutela verso forme di lavoro che, impegnandoli, possano comportare dei rischi per i bambini e comprometterne la salute, l'istruzione e lo sviluppo: art. 32), sono da considerarsi strettamente interconnesse per garantire uno sviluppo armonioso ed equilibrato della persona.

[6] In questo senso v., di recente, CAOCCI e FINELLI, Il dibattito internazionale, in AA.VV., Pianeta infanzia, cit., pp. 24 ss., a p. 27-28.

[7] Così TAGLIAVENTI, Per un alfabeto comune, cit., p. 22.

[8] Così TAGLIAVENTI, loc. ult. cit.

[9] UNICEF, Exploitation of working children and street children, New York, 1986.

[10] Il testo della Convenzione si può consultare nell'archivio "legislazione" di questa Rivista.

[11] Sono peraltro previste delle deroghe: laddove l'economia e le istituzioni scolastiche non siano sufficientemente sviluppate, si prevede che gli Stati nella dichiarazione annessa alla ratifica possano indicare un'età minima di 14 anni; per il lavoro leggero, non suscettibile di recare pregiudizio alla salute ed allo sviluppo dei bambini ed all'adempimento degli impegni scolastici e formativi, è previsto un limite minimo di 13 anni (e di 12 anni laddove il limite generale sia di 14 anni).

[12] Per una verifica dello stato delle ratifiche, si può utilmente consultare il sito Internet http: //www.ilo.org

[13] L'IPEC (finanziato tra gli altri da numerosi Paesi europei, tra cui l'Italia) si propone di portare avanti una strategia "per tappe", stimolando l'impegno dei Governi dei Paesi che partecipano al Programma ad agire essi stessi e sostenendo tutta una serie di attività che vanno dall'analisi della situazione relativa al lavoro dei minori in un determinato Paese all'assistenza prestata al Paese stesso per l'adozione di politiche volte a favorire una presa di coscienza della popolazione, a elaborare una legislazione protettrice, a sostenere l'azione diretta "sul campo". Per ulteriori approfondimenti sulle strategie, le priorità ed i diversi programmi portati avanti dall'IPEC, v. LANSKY, Le travail des enfants, cit., pp. 270 ss.

[14] Per quanto riguarda l'Italia i dati non sono certo tranquillizzanti: l'UNICEF in un rapporto del 1997 ha stimato che circa 300.000 siano in Italia i lavoratori minori di 14 anni e tale cifra è spesso stata indicata anche dai sindacati confederali; peraltro le indagini sul fenomeno non sono molto numerose ed i dati a disposizione spesso sono non omogenei o comunque di non facile lettura: sul punto, anche per un rapida ricognizione dei diversi dati a disposizione e delle differenti stime effettuate negli ultimi anni, v. MORETTI e TAGLIAVENTI, La mancanza di dati sul lavoro dei ragazzi e delle ragazze in Italia, in AA.VV., Pianeta infanzia, cit., pp. 53 ss.

[15] Secondo dati diffusi di recente dalla Coalizione italiana (affiliata alla Coalizione internazionale) contro l'utilizzo dei bambini soldato, che comprende tra gli altri il Comitato italiano dell'UNICEF, la Sezione italiana di Amnesty International e di Terre des Hommes, il Telefono Azzurro e numerose altre associazioni ed organizzazioni non governative, più di trecentomila ragazzi minori di diciotto anni stanno attualmente combattendo nel mondo, mentre altre centinaia di migliaia sono soggetti a reclutamento sia negli eserciti regolari che in quelli di opposizione armata; va anche segnalato che il diritto umanitario internazionale e la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dell'Infanzia stabiliscono attualmente in quindici anni l'età minima per il reclutamento militare e la partecipazione ai conflitti armati; proprio in considerazione della gravità del fenomeno, anche in Italia la Coalizione di cui si è detto è attualmente impegnata per sostenere la campagna "Stop all'uso dei bambini soldato", portando avanti attività di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e chiedendo che si adottato quanto prima un Protocollo addizionale alla Convenzione sui Diritti dell'Infanzia che proibisca il reclutamento militare e l'impiego durante le ostilità dei minori di diciotto anni.

[16] L'art. 10, terzo comma, della Convenzione prevede che essa entri in vigore per ogni Paese membro dodici mesi dopo la data della registrazione della ratifica.

[17] Sul problema degli effetti della c.d. "globalizzazione" sui sistemi di diritto del lavoro che, esponendo gli stessi ad una vera e propria "decostruzione", può innescare in molti Paesi un pericoloso fenomeno di ribasso degli standard minimi di trattamento, alla luce del dumping sociale che si manifesta con tutta la sua virulenza in un panorama di internazionalizzazione della concorrenza anche con riguardo al mercato del lavoro, v. di recente, per numerosi ed interessanti spunti di riflessione, l'approfondita analisi di PERULLI, Diritto del lavoro e globalizzazione. Clausole sociali, codici di comportamento e commercio internazionale, Padova, 1999. Sullo stesso tema v. anche LEE, Mondialisation et normes du travail: un tour d'horizon, RIT, 1997, pp. 187 ss.; DILLER, Responsabilité sociale et mondialisation: qu'attendre des codes de conduite, des labels sociaux et des pratiques d'investissement?, RIT, 1999, pp. 107 ss.

[18] Sull’utilizzo di tale strumento nella lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile v., per i necessari approfondimenti, HILOWITZ, Label social et lutte contre le travail des enfants: quelques réflexions, RIT, 1997, pp. 231 ss.

[19] V. HILOWITZ, Label social, cit., pp. 238-239.

[20] Sulle tipologie ed il ruolo giocato dalle clausole sociali in un mercato globalizzato, v. ampiamente PERULLI, Diritto del lavoro e globalizzazione, cit.; con particolare riguardo all’utilizzo di tali clausole in relazione al fenomeno dello sfruttamento del lavoro minorile, v. MUNTARBHORN, Child rights and social clauses: Child labour elimination as a social cause?, Int. Journal of Children's Rights, 1998, pp. 255 ss.

[21] Viene spesso citato, come esempio negativo, il caso del progetto di legge Harkin del 1992 che, presentato al Congresso degli Stati Uniti con il dichiarato intento di impedire le importazioni di beni prodotti impiegando manodopera minorile, provocò una vera e propria ondata di panico in numerosi Paesi esportatori, tra cui il Bangladesh, le cui industrie procedettero a licenziare in tronco i piccoli lavoratori, costretti poi a subire condizioni lavorative e sociali ancora peggiori: v. CAOCCI e FINELLI, Il dibattito internazionale, cit., p. 25.

[22] V. LANSKY, Le travail des enfants, cit., p. 277.

[23] Sul punto, anche per l’esame di alcune delle iniziative più significative ed interessanti, v. HILOWITZ, Label social, cit., pp. 239 ss.